IL BOXER A LAVORO

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IL CARATTERE DEL BOXER COME CANE DA LAVORO
di Antonio Bartolini, allevatore e giudice di lavoro

Se vogliamo parlare seriamente del carattere del boxer dovremo staccarci un po’ dagli stereotipi che normalmente si trovano su libri e riviste…e in cui i cani sembrano tutti uguali.
In realtà non è affatto così, perché ogni cane ha uno Standard caratteriale diverso: il boxer in particolare deve avere un carattere che io amo definire “in sintonia con la sua taglia”.
Il boxer è un cane di taglia media o medio-grande e deve avere un temperamento da medio a medio-alto, con una soglia di stimolo da media e medio-alta.
Il cane con una soglia di stimolo molto bassa può essere piacevole per il neofita, che lo vede “pronto a reagire” e si convince di avere un soggetto di grande carattere: in realtà è vero il contrario, perché un “vero” boxer, che corrisponda al carattere TIPICO della razza, è un cane che prima di reagire ha bisogno di pensarci un attimo e di convincersi che quella certa cosa va fatta.

Questo lo rende sicuramente meno facile da addestrare, ma lo rende anche molto facile da gestire nella vita sociale: il vero boxer è un cane che difficilmente creerà problemi di aggressività fondati sull’equivoco. E’ un cane sicuro in famiglia e con i bambini, è un cane che si può portare con sè ovunque.
Sul campo di addestramento, poi, non è detto che il particolare carattere del boxer debba per forza fare impazzire il conduttore: se si trova la chiave giusta per la razza, e poi quella per il singolo soggetto, il cane può dare grandi soddisfazioni anche in campo sportivo.

 

Fin qui la teoria, ovvero lo standard caratteriale del boxer così come lo si conosceva fino agli anni 70-80.
Purtroppo, dall’inizio degli anni ’90, il carattere tipico del boxer si è PERSO, e lo dico senza mezze misure, inseguendo una particolare struttura “da ring” che a mio avviso non è neppure la struttura corretta per la razza. Le linee di sangue che permettono di avere i “cagnoni con grandi testoni” tanto ricercati oggi sui ring si portano come conseguenza una soglia di stimolo altissima, quasi inesistente, e poco temperamento.
Così questi cani o sono apatici, spenti, del tutto privi della gioia di vivere e della curiosità che dovrebbero caratterizzare la razza…oppure (specie se intervengono anche fattori ambientali negativi) sono cani paurosi che tendono a reagire aggressivamente per difesa anche in mancanza di un vero pericolo.
Il “vero” boxer è un cane sicuro di sè, con una grande voglia di affermazione nel compito che gli è stato affidato, sia esso quello della difesa personale (come era quando è stata creata la razza), o quello sportivo che è praticamente l’unico richiesto ai giorni nostri.
Il “vero” boxer è un cane che di fronte allo stimolo ci pensa un attimo, decide se è il caso di reagire, e quando reagisce parte per vincere il confronto, senza starsi a preoccupare se c’è o meno una via di fuga percorribile.
E’ un cane tanto sicuro delle sue possibilità che non pensa mai “chissà se uscirò vincitore o meno?”. Lui pensa “questo tizio mi ha provocato? Bene, adesso vado lì, lo riempio di botte e chiudiamo la discussione”.
Ecco perché non sopporto di vedere boxer nervosi,
quasi nevrotici, che si allertano anche di fronti a stimoli neutri e che mordono guardandosi intorno, come per accertarsi di poter scappare in caso di bisogno.
Questi NON sono boxer.
Questi sono anche cani che faticano a fare il “lascia”, ma bisogna vedere i MOTIVI per cui faticano.
Venticinque anni fa i cani più forti e combattivi faticavano a loro volta a fare il “lascia”: ma quando si è trovata la chiave giusta, e cioè lo stimolo positivo che facesse pensare al cane che il “lascia” non fosse la fine del gioco, ma un momento indispensabile per poter continuare a giocare, ecco che i cani davvero forti hanno cominciato a lasciare senza problemi.
Loro non lasciavano perché temevano che il conflitto (a cui si appassionavano) finisse in quel momento: e siccome si divertivano, volevano continuare.
I cani che non lasciano oggi sono cani che pensano “se mollo la manica, chissà questo cosa mi combina”.
Ecco perché bisogna sempre cercare di capire i motivi per cui un cane si comporta in un certo modo. Non sempre un certo atteggiamento è sinonimo di grande carattere, anzi a volte è proprio il contrario.
Un altro problema oggi sta nel fatto che per fare i brevetti in fretta si addestrano tutti i cani nello stesso modo, dimenticando che il boxer non è un pastore tedesco e ha bisogno di un approccio al lavoro totalmente diverso.
Se i cani da pastore obbediscono al conduttore “perché lui è il capo”, senza porsi domande, il boxer deve capire PERCHE’ gli si chiede di fare una certa cosa e deve convincersi che è giusto farla.
La ricompensa per un boxer di carattere non dev’essere necessariamente un boccone: lo si può usare, certo, ma a lui può bastare anche il semplice “BRAVO!” , perché è un molossoide e la cosa che gli interessa di più è il contatto, il rapporto con l’uomo.
Per questo io sostengo che il boxer si addestra con il salamotto tenuto dal conduttore, con molto contatto fisico.
Così il cane impara il “lascia” nei momenti di gioco, capisce che lasciare significa riprendere il gioco subito dopo, e quando si arriverà agli esercizi di difesa avrà già capito perfettamente il concetto e non porrà difficoltà nelle fasi di obbedienza.
Il cane che non lascia, come ho già detto, è un cane insicuro e difficilmente controllabile.
Purtroppo oggi questi cani sono in continuo aumento, e la causa è genetica, legata ai soggetti che hanno portato certe caratteristiche fisiche “vincenti” sul ring.
Queste linee di sangue andrebbero abbandonate, facendo un serio esame di coscienza e rendendosi conto che il pubblico si sta allontanando dalla nostra razza perché non trova più il boxer che conosceva un tempo.
In Germania, dove c’è il culto del carattere e del lavoro, dove non c’è casalinga o anziana signora che non abbia il cane addestrato, si sono resi conto di questo gravissimo problema e stanno già correndo ai rimedi.
L’indirizzo di allevamento si sta rivolgendo a cani di giusta media taglia, perché l’altezza eccessiva è uno dei segni principale della selezione sbagliata degli ultimi anni.
I tanto ricercati “cagnoni con capoccioni” portano con sé la debolezza caratteriale, l’abulia, la mancanza di equilibrio che continuando così finirà per rovinare irrimediabilmente la razza.
Qualche tempo fa, in una riunione di giudici, ho chiesto al dottor Bonetti cosa ne pensava di un boxer con una testa “a sviluppo verticale”, che sembrava un elmo da corazziere, piazzata su un tronco alaneggiante, pesante e linfatico.
Lui mi rispose: “Ma quello non è un boxer!”, e io ribattei: “Allora perché questi cani vincono?”
La perdita di carattere è la conseguenza indesiderata di una selezione che dovrebbe apparire altrettanto indesiderata, perché rincorre un tipo fisico che non corrisponde neanche più allo Standard.
Quindi per salvare il boxer bisogna abbandonare questo tipo di selezione, rendendosi conto dei propri errori e accettando l’idea che non si potrà mai avere l’attuale tipo morfologico abbinato a un giusto carattere “da boxer”, con quella che io definisco “asprezza positiva e simpatica”, quel cane “che morde con l’occhio che ride”, perché è sicuro di sè e si diverte a fare il suo lavoro.
Bisogna tornare alla linee di sangue giuste, anche se forse per qualche tempo dovremo accontentarci di teste meno “scenografiche”, e badare soprattutto a usare femmine con il giusto carattere: perché è vero che padre e madre passano il 50% dei loro geni ai figli…ma poi il padre sparisce, mentre alla madre spetta il difficile compito di dare l’imprinting ai cuccioli.
I figli di cagne che sobbalzano al minimo rumore, che scappano di fronte a stimoli inoffensivi, che corrono a nascondersi se c’è un temporale, “assorbiranno” queste caratteristiche negative e lavorare con loro sarà doppiamente difficile.
Infine bisogna imparare a conoscere la razza prima di mettersi a lavorare con un boxer, perché oltre alla genetica sbagliata spesso ci sono gravi errori di addestramento…e il problema più comune è che molti proprietari, quando il boxer manifesta i primi segni di nervosismo e aggressività, sotto sotto sono contenti.
Questo è un grave errore, perché ci si compiace di un difetto! Invece bisognerebbe correre subito ai ripari, cercando di incanalare l’aggressività verso quella sicurezza indispensabile per rendere il cane gestibile e controllabile in ogni occasione.
Forse l’unico modo per salvare il boxer in Italia, visto che gli allevatori pensano solo a vincere in bellezza (perché è quella che paga) e spesso ignorano il lato caratteriale (che invece è quello che rende una razza più o meno amata dal pubblico), sarebbe una maggior cultura cinofila, e soprattutto la cultura del “vivere lavorando” con il proprio cane, così come avviene in molte altre nazioni, Germania in testa.
Se la gente volesse cani da lavoro, l’allevamento sarebbe costretto ad adeguarsi al mercato e le attuali linee di sangue verrebbero ben presto abbandonate, perché non possono dare cani da lavoro efficienti.
Ma questa è una strada che qualcuno – me compreso – ha cercato di intraprendere…finendo però per rinunciare.
In Italia manca ancora la cultura cinofila di base: una cultura avanzata, capace di dare il giusto peso alle doti caratteriali, per ora è un’utopia.